[BNPL per le Aziende] I motivi della crisi che sta colpendo le startup

Nel primo trimestre 2024 il tasso di fallimento delle imprese emergenti Usa è aumentato del 58 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Anche le realtà più mature chiudono i battenti. Il motivo? Dopo il boom tech del 2021-2022 fruttano meno. Ora i fondi di venture capital hanno stretto la cinghia e preferiscono investire sull’IA.

«Startup: la grande siccità». Un titolo che ben sintetizza la crisi che sta colpendo duramente questo mondo. I dati di Carta, una società specializzata in software aziendale, non lasciano molto spazio all’ottimismo per il futuro. In una recente analisi, infatti, emerge una percentuale preoccupante: nel primo trimestre 2024 il tasso di fallimento delle startup negli Stati Uniti è aumentato del 58 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il motivo? Come spesso accade, si tratta di soldi. Gli imprenditori che avevano raccolto fondi durante il boom tecnologico tra il 2021 e il 2022 hanno ormai esaurito quelle risorse. E senza liquidità è impossibile andare avanti. A questo si aggiunge una stretta nei finanziamenti da parte dei fondi di venture capital, che non solo hanno meno soldi da investire, ma preferiscono concentrare le risorse disponibili sull’Intelligenza artificiale.

Le più colpite sono le startup che avevano completato almeno un round di finanziamento

Negli ultimi anni, il panorama della raccolta fondi per le startup ha subito trasformazioni profonde, portando a un aumento delle chiusure di queste giovani imprese, spesso fonti delle innovazioni che vedremo sui mercati di massa nel prossimo futuro. Dopo un’impennata senza precedenti negli investimenti nel 2021 e all’inizio del 2022, l’entusiasmo si è raffreddato nei due anni successivi. Nel quarto trimestre del 2023, per esempio, ci sono stati oltre 1.000 finanziamenti in meno rispetto allo stesso periodo del 2021. Questo calo ha messo molte startup in difficoltà, costringendole a cercare nuovi investimenti ma in un mercato meno favorevole. Per la prima volta in cinque trimestri, spiegano gli esperti, si è registrato un numero maggiore di chiusure tra le società che avevano completato almeno un round di finanziamento rispetto a quelle che non lo avevano fatto. Questo dimostra che, in un mercato in rapida evoluzione, i finanziamenti passati non garantiscono più una protezione. Lo storico non conta. Alcuni fondatori e investitori sono riusciti ad adattarsi, ma molti altri non hanno colto il cambiamento in tempo, portando le loro aziende al fallimento. Sempre stando agli esperti, le startup che hanno chiuso possono essere suddivise in due categorie principali. La prima categoria comprende le giovani aziende che hanno ricevuto i primi finanziamenti durante il boom del mercato del 2021, quando gli investitori erano più inclini a scommettere su progetti speculativi. Queste startup non sono riuscite a trovare un posto nel nuovo contesto economico del 2022 e del 2023. La seconda categoria è composta da aziende più mature, che hanno puntato tutto su una crescita rapida, ma ora si trovano a dover dimostrare che sono capaci di fare soldi e in modo sostenibile, cosa che non sempre riescono a fare.

 

Ma perché ci sono meno soldi? Negli ultimi 10 anni, sottolinea PitchBook, una società di analisi di dati, gli investimenti in startup sono cresciuti molto perché offrivano grandi guadagni. Tuttavia, ora è diventato difficile vendere queste aziende e ottenere profitti, il che significa che gli investitori stanno ricevendo meno soldi indietro rispetto al passato. Per tornare a guadagnare come prima, sarebbe necessario che molte nuove aziende iniziassero a vendere le loro azioni in Borsa, ma questo accade di rado. Dal canto loro, gli investitori preferiscono dare soldi a società di venture capital che hanno già dimostrato di saper restituire il capitale investito. Inoltre, i tassi di interesse non stanno scendendo come sperato, rendendo gli investitori ancora più cauti. Insomma, non conviene. E, come infine sottolinea il Financial Times, quei pochi fondi disponibili finiscono principalmente nelle casse delle aziende che si occupano di Ia, complicando la vita agli imprenditori in altri settori. Questo quadro solleva naturalmente molte domande. Una su tutte: cosa succederà quando la bolla dell’Intelligenza artificiale scoppierà? Tuttavia, c’è una lezione importante da tenere a mente: saper adattarsi rapidamente e bene ai tempi che cambiano è fondamentale. Se poi ci mettiamo che il venture capital è il motore del rinnovamento dell’economia, l’assenza di segnali positivi dal venture capital italiano ci pone altrettante domande. In un Paese che sembra ostinatamente fermo e contrario al cambiamento, dove galleggiare diventa virtù, emergono questioni importanti. Prova ne sono, tanto per fare un paio di esempi, l’assenza da tempo immemore di un piano di politica industriale oppure la telenovela legata al Pnrr. Altro che ideologie.

(Fonte: Lettera43)

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