Gli investimenti delle banche italiane in Fintech crescono del 50% ogni due anni e la strategia perseguita è sempre più quella di una collaborazione con le start up specializzate nello sviluppo di applicazioni per il sistema finanziario. Nonostante questo andamento positivo, la spesa in fintech resta però solo una quota frazionale del budget che gli istituti di credito tricolori destinano alla tecnologia.
È questo il quadro che emerge dalla più recente edizione del documento “Indagine Fintech nel sistema finanziario italiano” di Bankitalia, secondo il quale gli investimenti in tecnologie innovative dovrebbero passare dai 600 milioni complessivi del biennio 2021-2022 ai 901 milioni di quello 2023-2024. In base alle risposte fornite dalle banche – la quasi totalità del sistema bancario italiano ha partecipato all’indagine assieme a 67 intermediari non bancari – sono previste ulteriori spese per 380 milioni a partire dal 2025, fino al completamento dei progetti già avviati.
L’ammontare complessivo della spesa per i progetti rilevati dovrebbe dunque salire a 1,88 miliardi di euro.
Seppur in decisa crescita – rispetto alla prima rilevazione, quella relativa al biennio 2017-2018, sono quasi quadruplicati – gli investimenti in fintech rappresentano solo una piccola parte (5%) della spesa complessivamente delle banche per l’acquisto di soluzioni tecnologiche, includendo cioè nel conteggio tutti i software, hardware, impianti tecnologici oltre alle spese per il funzionamento dei sistemi It. A frenare gli investimenti in fintech è soprattutto la scarsa interoperabilità tra le nuove tecnologie e i preesistenti sistemi It degli istituti di credito che, non di rado, sono vecchi e basati su strutture non aperte. Ben il 16,8% delle organizzazioni intervistate ha evidenziato questa difficoltà.
Altri due importanti ostacoli sono rappresentati dall’insufficiente domanda per i prodotti realizzati grazie ai progetti di fintech (11,4%) e dalla difficoltà a trovare risorse umane che abbiano le competenze necessarie per sviluppare e gestire le iniziative (10,8%).«Le difficoltà nel reperire risorse umane adeguate assieme alla complessità e all’immaturità delle tecnologie, rappresentano gli ostacoli maggiormente cresciuti nelle valutazioni degli intermediari rispetto alla precedente rilevazione – si legge nel documento – Viceversa, altri fattori come il controllo dei rischi di sicurezza informatica, l’evoluzione del quadro regolamentare e la scarsa cultura aziendale nei confronti dell’innovazione tecnologica si sono visibilmente ridimensionati».
In questo scenario non privo di problematicità risultano comunque «in crescita anche altri aspetti correlati con il processo di trasformazione digitale degli intermediari come la dimensione dei progetti, il numero degli addetti coinvolti, il ricorso alle collaborazioni con aziende fornitrici di servizi informatici e tecnologici, il valore delle partecipazioni azionarie in soggetti fintech – scrivono gli analisti di via Nazionale – La spesa è riferibile a 430 progetti di investimento, il 63% dei quali totalmente nuovo e rappresentativo del 56% della spesa; nella precedente rilevazione (l’indagine è biennale, ndr) il peso dei nuovi progetti in termini numerici e di spesa era stato pari rispettivamente al 75% e al 47%».La quota più importante di investimenti è stata indirizzata verso l’area dell’intermediazione (43,7% del totale), consistenti risorse (39,4%) sono state però utilizzate anche per sviluppare il settore dei pagamenti.
I progetti più rilevanti nell’area dell’intermediazione hanno avuto come obiettivo prevalente la digitalizzazione e l’automazione del processo del credito, dalla richiesta del prestito alla sua erogazione sino all’eventuale gestione dei crediti problematici e in sofferenza (digital lending). Nei pagamenti le innovazioni più ricorrenti hanno riguardato gli instant payments e l’integrazione degli strumenti di pagamento all’interno di wallet digitali.
Le banche si attendono benefici soprattutto sul fronte della gestioni dei rischi: stimano infatti che le nuove tecnologie siano in grado di ridurre il numero delle frodi e delle conseguenti spese legali. A fronte di questo calo mettono però in conto un aumento dei rischi legati all’outsourcing Ict, soprattutto per quel che riguarda il ricorso al cloud. Le collaborazioni con partner tecnologici sono infatti in crescita: nell’arco di due anni è passata dal 46% al 51% la quota di intermediari che hanno stretto un rapporto di partnership. Le principali tecnologie che caratterizzano i progetti sono state le piattaforme web-mobile (20,5%), l’intelligenza artificiale (16,5%) e le Application programming interfaces (Api, 14,9%).
«Rispetto alla precedente rilevazione è aumentato sia il numero che la spesa dei progetti basati sulle piattaforme web-mobile, sull’intelligenza artificiale, sulle firme digitali, sulle Distributed ledger technology (Dlt) e sui big data – annotano gli esperti di Bankitalia Sono diminuiti, invece, per numero e valore i progetti connessi con le Api e le tecnologie biometriche; i progetti legati al cloud computing, pur divenendo meno numerosi, sono cresciuti in termini di spesa».Secondo quanto dichiarato dagli intermediari coinvolti nel sondaggio, i ritorni degli investimenti in fintech non dovrebbero farsi attendere e, già a partire dal 2025, dovrebbero essere superiori alle spese effettuate. Per il biennio 2021-2022 la cifra dichiarata complessiva è stata pari a 709 milioni (contro i 340 milioni dei due anni precedenti). «Dal 2025 i progetti dovrebbero generare ulteriori ricavi per quasi 1,1 miliardi di euro – conclude Bankitalia – Nell’arco dei tre bienni considerati il rapporto tra i ricavi attesi generati dalle iniziative e i corrispondenti costi è passato dal 28,3% al 78,7%»
(Fonte: iusLetter)
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