Il decreto che ha limitato le detrazioni e spalmato da cinque a dieci anni il recupero fiscale delle spese di ristrutturazione potrebbero compromettere la “sicurezza giuridica” dell’Italia e violare il diritto di proprietà tutelato dalla Convenzione europea. Potrebbe diventare materia per la Corte di Strasburgo. Sulla base di forti precedenti. Ecco quali | La Casa Green europea prevede sostegni simili al Superbonus. Che l’Italia ha smontato. E che invece va ripensato.
Il decreto legge 39/2024 in materia di superbonus e altre detrazioni edilizie è stato convertito nella legge 67/2024 pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 28 maggio. Le nuove norme si applicheranno retroattivamente e stanno già causando parecchi guai a chi ha fatto i suoi investimenti contando su detrazioni fiscali di cui giovarsi in cinque anni. Infatti, ora per godere dei benefici serviranno dieci anni: il doppio del tempo rispetto a quello previsto quando imprese, condomini, proprietari hanno firmato contratti, installato cantieri, acquistato materiali, messo mano agli edifici.
Le giustificazioni del Governo
Il Governo si è giustificato evocando la necessità di arginare il crescente peso finanziario del Superbonus. Ma ha trascurato altri dati – come la spinta all’economia e il contributo all’emersione dell’evasione fiscale e del lavoro nero dipesi dagli incentivi – e soprattutto i diritti fondamentali dei cittadini che andrebbero bilanciati con l’onere derivante dalle detrazioni.
Questioni giuridiche e convenzione Europea
Evocare il bilanciamento dei valori e degli interessi vuol dire chiamare in causa la Corte Costituzionale e soprattutto la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’organo che vigila sul suo rispetto: la Corte di Strasburgo. Il nostro pensiero è che le misure appena approvate compromettano la «sicurezza giuridica» del Paese democratico e violino il diritto di proprietà tutelato dall’art. 1 del primo protocollo addizionale della Convenzione europea.
Il diritto di proprietà e le limitazioni
Il diritto di proprietà non è assoluto, questo è vero. Gli Stati, però, sono autorizzati a limitarlo solo se le restrizioni hanno una base legale, uno scopo legittimo e siano proporzionate agli interessi in gioco. Nel caso delle norme retroattive che modificano il regime fiscale del superbonus, la salvaguardia dei conti pubblici forse corrisponde a uno scopo legittimo. Ma siamo convinti che la legge in questione non possieda gli altri due requisiti: una base giuridica degna di questo nome, e cioè prevedibile e tale da non destare il sospetto dell’arbitrarietà dell’intervento statale; e la sua proporzionalità.
Precedenti giudiziari
Per quanto concerne, in primo luogo, la base legale, vorremmo ricordare che la sentenza della Grande Camera della Corte di Strasburgo Maurice contro Francia del 6 ottobre del 2015 ha giudicato ingiusta una legge retroattiva che ha privato la vittima di «un’asset» facente parte dei suoi «beni». Nel caso si trattava di una voce di danno prevista dall’ordinamento prima che fosse cancellata. Ma è interessante notare anche che, nella sentenza R.Sz. contro Ungheria del 2 luglio 2013, la Corte ha giudicato «un’ingerenza irragionevole» l’applicazione al contribuente un’aliquota fiscale molto più elevata di quella in vigore quando era stato generato il reddito. Nella fattispecie, la legge non rimediava a carenze tecniche delle norme precedenti ma si limitava a modificare le regole dell’imposizione; e questo per la Corte è stato rilevante.
Equilibrio tra interesse generale e diritti
Per quanto concerne, in secondo luogo, il «giusto equilibrio» tra l’interesse generale e i diritti fondamentali della persona, i giudici europei guardano con sospetto al carattere retroattivo delle norme. Ad esempio, in una causa concernente il nuovo calcolo di una pensione già liquidata, la Corte con la sentenza Bulgakova contro Russia del 18 aprile 2007 ha ritenuto che «l’eventuale interesse dello Stato ad assicurare un’uniforme applicazione della legge in materia di pensioni non avrebbe dovuto causare il calcolo retroattivo dell’importo già accordato giudizialmente a favore della ricorrente». Da qui la violazione del diritto di proprietà.
Proporzionalità del termine di dieci anni
Infine, poiché, ora il contribuente deve spalmare le detrazioni in dieci anni anziché in cinque, anche il raddoppio del termine è in contrasto con la Convenzione. Infatti, occupandosi della restituzione delle imposte pagate in eccesso da un contribuente, la sentenza Buffalo S.r.l. in liquidazione contro Italia del 3 luglio 2003 ha condannato il Governo per le dilazioni che avevano determinato nel contribuente gravi incertezze.
Rivolgersi alla corte di strasburgo
E allora, visto che il diritto di proprietà dei contribuenti titolari di diritti acquisiti (e perduti) sembra violato e che c’è un giudice in Europa, che fare? A nostro avviso ci sono le condizioni perché i cittadini che subiscono le conseguenza della riforma si rivolgano subito alla Corte di Strasburgo per mezzo di un ricorso diretto. A questo proposito è bene sfatare un mito: non c’è bisogno di introdurre eventuali giudizi interni prima di indirizzare il proprio ricorso ai giudici europei perché in Italia non esistono rimedi nazionali contro l’approvazione di una legge che viola un diritto fondamentale. E perché non possiede queste caratteristiche neppure l’incidente di costituzionalità, che può essere sollevato solo dal giudice.
(Fonte: MilanoFinanza)
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